giovedì 29 dicembre 2011

Che poi non si dica che mi faccio solo i fatti miei.
Mx rimprovererà me - Cosimo - e Mario PF perché l'esordio qui sotto assomiglia al blog vecchio.
Diciamo che siamo abitudinari, io e l'mpf.
Magari ne parleremo stasera al concerto dei NORMAN al "The Box" di Mirano (VE).
A proposito, venite al concerto dei NORMAN al "The Box" di Mirano (VE) e date fuoco al libretto di Baricco che state leggendo accanto alle tende Ikea del circolo del PDL sotto casa con la speranza che le fiamme trasformino in cenere nera il libretto, le tende e il circolo tutto.


Eccoci arrivati. La scala antincendio, ha detto Thomas. Io mi fido di Thomas e allora vada per la scala antincendio. Le pareti, vedo adesso, appena entrato, sono invase da una muffa cattiva, come la facciata del palazzo. Tre piani, ha detto Thomas. Poi la porta sulla sinistra (te la faccio trovare aperta io, apro alle due e tu vedi di essere puntuale, parole sue). E io puntuale. So essere puntuale, affidabile, so scegliere io, so prendere di scatto una scala e essere al terzo piano in un baleno, so riconoscere un palazzo in mezzo alla città, al centro esatto della città. So riconoscere i colori e il profilo anche da lontano, so percorrere di corsa mezza città fottuta. Sono arrivato. Sono entrato. Un corridoio. Mi sento al sicuro, a quest’ora sono tutti a letto, tutti a scacciare il ricordo di una giornata di lavoro duro. Gran parte degli inquilini lavora giù al porto, me l’ha detto Thomas. Gente che deve svegliarsi alle quattro di mattina. Ora ronfa e sogna i tropici dentro i letti puzzolenti. A smaltire il ricordo e la sbornia.
Passi piccoli, però. Chi dorme si può svegliare se cammini come un pazzo assetato di sangue. Sbattendo e barcollando, sbuffando e gridando bestemmie. Perché questo è quello che so fare e faccio tutti i giorni fottuti, da quando so che sei tornata in città. Senza avvisare. Senza una telefonata del cazzo per dire che sei tornata. Forse per restare, forse perché hai trovato lavoro in centro. Forse perché tua madre sta morendo, forse perché è morta. E tu, per un motivo o per l’altro - spero l'altro -, devi esserle vicina. Devi stare qui per un po’.
Muscoli tesi. Mi fanno male le braccia, i polpacci, ho le ginocchia andate. Mi fanno male i polmoni, respiro male. La gola, poi, la gola. Ma mi muovo bene, felpato, misuro i passi, forzo l’andatura. Sono elegante, sono sospeso, per non fare rumore. E non faccio rumore, neppure un toc, niente. Cerco la camera, la porta. 324, mi ha detto Thomas. In fondo al corridoio, non posso sbagliare. Trecentoventiquattro del cazzo. La porta che avrai chiuso a chiave poche ore fa. Anche tu dormirai. Immagino che a quest’ora anche tu dormirai. Come gli operai del porto.
Chissà poi se sei sola. Se dormi sola in questa stanza in un palazzo ammuffito al centro esatto della nostra città. Se ricordo bene, di stare sola non se n’è mai parlato. Sempre il bisogno di una mano da stringere, tu. Sempre un confidente, un amante, un compagno di chiacchiere vacanze e giochi, una scimmietta ammaestrata, un cane che sbava sulla tua tuta Nike, un gorilla che ti difende, un consulente, un accompagnatore che ti protegge e ti scopa, che ti fa sfogare e ti scopa. Una questione di stile.
Arrivo. Trecentoventiquattro. Avvicino l’orecchio guarito alla porta. Proprio sopra la targhetta con il numero. Scritta nera andata lercia. Ascolto. Smetto di respirare e ascolto.

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